“voglio vederti danzare come i
dervisci tourners che girano sulle spine
dorsali…”
Questa frase appropriata, colta dal
testo della canzone “Voglio vederti
danzare” di Franco Battiato, viene
riportata su uno dei cartelli
informativi apposti nel museo allestito
nella chiesa di San Egidio di Mazara del
Vallo (Tp) laddove viene offerta la
grande opportunità di incontrare
l’eccezionale reperto archeologico che
un peschereccio, qualche anno fa, ha
incredibilmente recuperato in una zona
di mare sul “Canale di Sicilia”.
Ci
stiamo ovviamente riferendo alla oramai celeberrima statua bronzea
denominata “Il Satiro Danzante” (Fig.1)
attribuita a Prassitele, e fatta risalire al 340 a.C. circa.
Innanzi tutto osiamo affermare che
questo ritrovamento (che il profano
addita al caso o alla fortuna) ha
assolutamente del miracoloso.
L’imbarcazione “Capitan Ciccio”, facente
parte dell’imponente flotta peschereccia
di Mazara del Vallo, ha infatti
recuperato la statua in due
frangenti.
Nel 1997 infatti è stata tratta dagli
abissi una gamba del Satiro rimasta
impigliata nelle reti del natante,
mentre un’ anno dopo, ovvero nel 1998 (e
precisamente la notte tra il 4 ed il 5
Marzo), viene recuperata invece la
porzione comprendente il corpo e la
testa.
Solo chi ha vissuto per tanti anni a
stretto contato con il mare sa quanto
sia difficile che si verifichi una cosa
di questo genere… solo chi ha perso
qualcosa nella sua immensità è
consapevole su quanto sia utopistico il
ritrovamento.
Il mare è benevolo con i suoi figli,
esso è stato ed é ancora oggi “fonte di
vita”; pur tuttavia non perdona e non
restituisce gli oggetti che ha
inghiottito nel sue acque se non per
intercessione degli Dei.
Il comandante del peschereccio ha
dichiarato che dal modo in cui la statua
era attaccata alle reti pareva un uomo
che aveva una forte volontà d’esser
salvato.
In verità noi stessi ci siamo sentiti
impigliati nella rete di fronte alla
magnificenza di quest’opera… siamo
rimasti letteralmente “impalati”… la
mente sgombra da ogni pensiero, lo
sguardo immobile, fisso ad ammirare le
sottili movenze di una figura statica
solo in apparenza. Intorno a noi una
moltitudine di gente… ma non curanti
dell’ambiente circostante eravamo rapiti
ed estasiati, la nostra essenza era
partecipe della danza del Satiro.
Adesso, a nove giorni esatti dalla
nostra visita al museo di San Egidio,
siamo qui a commentare con “mente
lucida” la figura che tanta meraviglia
ha suscitato nel nostro animo. Questo
lasso temporale infatti è servito non
solo a far decantare l’accavallarsi
caotico di emozioni altalenanti ma anche
a maturare delle riflessioni che
cercheremo di riportare in queste
pagine.
A
causa della presenza di orecchie appuntite (Fig.2)
, di un foro alla base della colonna vertebrale (probabilmente atto
ad ospitare una coda equina - Fig.3), nonché grazie
al confronto con altre figure di età tardo ellenistica, è stato possibile
identificare nella statua in oggetto il “Satiro in Estasi”
e azzardare un’ipotesi sugli attributi che in origine presentava.
Innanzi tutto diremo che il Satiro è una
figura (legata indissolubilmente a
Dionisio) che molti identificano con Pan
ovvero un demone arboreo abitante dei
boschi. Presumibilmente la statua era
provvista di un Tirso (bastone ornato da
pampini d’edera ed una pigna sommitale)
nella mano destra ed un Kantharos,
ovvero un calice con due alti manici
laterali atto ad accogliere il vino,
impugnato dalla mano sinistra.
Inoltre sul braccio sinistro v’era
accavallata una pelle di pantera a
sottolineare la natura bestiale del
personaggio. Il Satiro viene
rappresentato nell’atto di danzare,
ovverosia ruota su se stesso facendo
perno sulla gamba destra (poggiata sul
terreno); la gamba sinistra invece è
piegata elegantemente per favorire il
movimento. Si sta prodigando in una
danza che ricorda quella praticata in
Turchia dai Dervisci culminante con la
perdita dei sensi.
La testa è di poco inclinata
all’indietro e sulla destra; la sua
bocca è leggermente dischiusa…
sembrerebbe che il Satiro stia
delicatamente inalando ed esalando da
essa lungo la circonferenza che
descrive.
Uno
degli elementi di maggiore fattura artistica sono i capelli che, a
causa della forza centrifuga, sono disposti in modo opposto al movimento
(Fig.4); la loro forma ci fa pensare a delle serpi
avvinghiate alla testa del nostro Pan.
Adesso, dopo aver descritto la figura
per sommi capi nella sua interezza,
passeremo ad una analisi più
particolareggiata dei suoi elementi
costituitivi.
Innanzi tutto
vogliamo sottolineare la presenza (presunta ma probabile)
del Tirso che viene considerata una variante del caduceo di Hermes…
da questa attestazione siamo pertanto portati a pensare che la statua
si riferisca ad un tema di natura iniziatica (Fig.5).
L’asta si trovava in posizione eretta a
ricordare la colonna vertebrale umana
nonché il numero 1 simbolizzante il
principio fecondatore della natura
ovvero l’elemento maschile, l’aleph
ebraico. Non a caso infatti il Tirso é
impugnato dalla mano destra ovvero
quella fisicamente più forte e connessa
all’emisfero celebrale sinistro
(maschile).
La virga ha una costituzione di tipo
vegetale a simboleggiare l’etere o
quintessenza elemento che indica la
vita.
La forza fecondatrice della materia
informe é doppiamente sottolineata dalla
presenza del pene e della coda equina,
il primo rappresentante la potenza
fecondatrice del mondo materiale… la
coda invece rappresenta la capacità di
fecondare i regni spirituali (astrale).
Nella mano sinistra (connessa
all’emisfero cerebrale destro,
intuitivo, femminile) abbiamo ovviamente
l’elemento passivo atto ad accogliere il
vino, ci stiamo riferendo al Kantharos.
I due manici ci fanno pensare al binario
e quindi al concetto di dualità, alla
Bet ebraica nonché alla “Sacerdotessa”
dei Tarocchi.
Il termine “Kantharos” ci ha
notevolmente incuriosito… infatti questo
termine nel mondo classico serviva ad
indicare il calice da vino, invece
attualmente (soprattutto nelle zone del
Sud Italia) con il termine “cantaro” si
designa il così detto “vaso da notte”.
Con cantàro si indica
anche un’antica unità di misura, fatta
risalire dal latino tardo (centenarium)
che stava ad indicare il peso di 100
libbre.
Tutto questo ci fa pensare alla 19°
lettera dell’alfabeto ebraico quoph
(cruna), il cui valore numerico è
100. La cruna di un ago rappresenta la
porta di ingresso ai regni spirituali…
“è più facile che un cammello passi per
la cruna di un ago, che un ricco entri
nel regno dei cieli”. (Mt. 19,24)
Quindi la lettera quoph
rappresenta sia la santità che il ciclo
di crescita ma è anche connessa
all’illusione della manifestazione (maya).
Non per niente infatti, si dice in
Oriente che la manifestazione, ovvero
tutto ciò che percepiamo, costituisce la
“Grande Illusione”.
Tutto questo ci fa scorgere una
connessione con il ciclo descritto dal
nostro Satiro danzante. La sua danza in
circolo infatti, allo stesso modo di
quoph, sta a simboleggiare il
continuo ed infinito alternarsi dei
cicli (lunari, stagionali, ecc.) della
manifestazione terrena nonché celeste
(cerchio dello zodiaco).
Che tutto questo sia casuale? Che sia un
prodotto della nostra fantasia?
Comunque sia l’ipotesi ci
sembra affascinante e a nostro avviso,
meritevole di menzione.
Riflettendo su un ciclo che si chiude in
se stesso ci sovviene con naturale
disinvoltura l’accostamento all’Uroboros
(serpente che si morde la coda in tondo)
degli alchimisti. Anche il nome Pan ci
ricorda fatalmente il classico “En to
Pan” (L’Uno il Tutto) che i Saggi
Filosofi di un tempo definivano anche
“Allume” ovvero l’unità di tutte le cose
(sia esse materiali che ovviamente
spirituali).
E che dire poi dell’altro nome, ovvero
“Satiro” accostabile alla parola
“saturo” che significa appunto “pieno”,
“rigurgitante”?
Inoltre secondo Gino Testi (Dizionario
di Alchimia e di Chimica Antiquaria) il
termine “satir” era per i Saggi sinonimo
di “Mercurio”.
Ora nel passaggio satiro/satir v’è
l’omissione della “o” finale (iferesi)…
che sia un caso il fatto che la lettera
eliminata costituisca proprio un
cerchio?
Nella statua in oggetto, oltre che il
quinto elemento (come abbiamo visto
prima), vengono rappresentati anche gli
altri quattro ossia la terra (su cui
poggia il piede destro del satiro),
l’aria (raffigurata dal movimento dei
capelli) il fuoco e l’acqua (riuniti nel
vino all’interno del mistico calice). In
questa coniuctio oppositorum ci sembra
di girare fatalmente in tondo nel vano
tentativo di tradurre in parole…
La Materia e
le sue infinite forme;
Dall’Uno generate;
La sublime danza cosmica;
I Cieli e la Terra si ritrovano in un
istante;
Compagni separati ma sempre intimamente
tendenti al ritrovarsi;
Così l’uomo e la donna si specchiano
l’uno nel molteplice;
Ognuno scorge il Se nell’altro;
Dall’etterno rimirar il munifico
miracolo dell’Amore;
La nostra Acqua Ardente;
Il misterio del fuoco che discende dai
cieli;
Ivi una sacra coppa ad accoglierlo
intimamente;
A sostenerlo con un tenero abbraccio;
Nel mentre l’aere si Satura di
consapevolezza vivifica;
Non v’è Nulla di più puro del sospiro di
un ebro al levar del Sole;