L'INFERNO E IL PARADISO DI LEONARDO (PRIMA PARTE)

 

I - LEONARDO DA VINCI : LA BIOGRAFIA

Leonardo nacque ad Anchiano, una frazione di Vinci, il 15 aprile 1452, figlio illegittimo di ser Pietro di Antonio, notaio, e di Caterina che sposò più tardi tale Attacabrighe di Pietro del Vacca.(fig.1)

Primo figlio maschio di ser Piero, fu accolto in famiglia e, viste le sue propensioni per la pittura, fu messo poi a bottega a Firenze da Andrea del Verrocchio verso il 1469. Iscritto nella Compagnia dei Pittori di Firenze, la Corporazione di San Luca, già nel 1472, deve  essere rimasto presso il Verrocchio almeno sino al 1476, benchè non sia da escludere che egli collaborasse anche il seguito col suo maestro. Nel 1473, il 2 agosto, Leonardo data il più antico disegno che di lui ci sia pervenuto: un paesaggio oggi agli Uffizi.

Negli anni seguenti (sicuramente tra il 1480 e il 1482) lavorò spesso per la corte di Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, frequentando il Giardino di San Marco che era utilizzato come “magazzino” per marmi, sacofagi, sculture ed era annesso alla Biblioteca di San Marco, voluta già da Cosimo de’ Medici e divenuta luogo dell’Accademia di Firenze.

Alla fine del 1482 Leonardo si trasferì a Milano presso la corte di Ludovico il Moro.

La tradizione narra che fu inviato, insieme ad Atalante Migliorotti, da Lorenzo il Magnifico quale esperto suonatore di una lira d’ argento a forma di teschio di cavallo; ma una lettera  contenuta nel Codice Atlantico ci informa delle reali incombenze che aspettavano Leonardo,  cioè lavori di ingegneria, arte militare, architettura, il monumento equestre a Francesco Sforza e, come ultima cosa, opere di pittura. La sua prima commissione, datata 25 aprile 1483, fu una Madonna da collocarsi in San Francesco Grande a Milano. L’ opera è oggi conosciuta come “La Vergine delle Rocce” ed ha una storia particolare, in quanto una prima versione (quella oggi al Louvre) venne ceduta o donata prima del 1486, una seconda versione (oggi a Londra) opera di Leonardo e la sua bottega, venne dipinta tra il 1486 e il 1506 e una terza versione (dipinta sempre da Leonardo e dalla sua scuola e recentemente ritrovata) fu dipinta tra il 1494 e il 1497 probabilmente su commissione di un altro nobile dell’ epoca.

Dal luglio 1487 al gennaio del 1488 lavorò ad un modello per il tiburio del Duomo di Milano, i disegni per il tiburio si trovano nel Codice Atlantico e nel Codice Trivulziano.

Nel 1489 Leonardo iniziò a mettere per iscritto i suoi studi di anatomia in un codice dedicato alla figura umana. Questi suoi studi proseguiranno per tutta la vita (Leonardo fu sottoposto a giudizio per avere usato dei cadaveri per i suoi studi), incluso studi di anatomia animale.

Negli stessi anni compilò il cosidetto Manoscritto B (Institut de France-Parigi) completamente dedicato all’ architettura religiosa, all’ urbanistica e alle fortificazioni. (fig.2)

Nel 1489 (22 luglio, come dalla lettera inviata a Lorenzo de’ Medici da Pietro Alamanno) ebbe conferma della commissione del monumento equestre a Francesco Sforza.

Il13 gennaio 1490 si svolse a Milano la “Festa del Paradiso” allestita da Leonardo per conto della duchessa di Milano.

Il 23 Aprile 1490 ricominciò il progetto per il monumento equestre che contava di fondere in bronzo nel 1493, con un procedimento rivoluzionario (ponendo il modello capovolto in una fossa gigantesca) che però non ebbe seguito, dato forse l’avvicinarsi di eventi bellici.

Nel luglio 1493 ricevette la visita della madre, che rimase con lui sino alla morte, avvenuta nell’anno sucessivo.

Tra il 1494 e il 1497 progettò ed eseguì il “Cenacolo”, nel refettorio del convento dei frati annesso alla chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, usando per l’ affresco nuove tecniche che purtroppo non si rivelarono durature.

Negli stessi anni Leonardo affrescò invece con tecniche tradizionali alcune salette all’ interno del Castello, di cui l’ unica che si è salvata è la cosidetta “Sala delle Asse”. (fig.3)

Nell’ agosto 1499 iniziò il suo trattato “de moto e peso” .

Caduto il ducato di Milano alla fine del 1499 per l’ incalzare delle truppe francesi, Leonardo fu costretto a riparare a Mantova dove Isabella d’ Este gli chiese un ritratto ma di cui Leonardo preparò solo il cartone, oggi esposto al Louvre. Si recò in seguito a Venezia (per certo era a Venezia il 13 marzo 1500) dove ebbe contatti con gli esponenti dell’Arte e della Cultura locale e dove gli venne richiesto di approntare progetti per difendere Venezia dai Turchi.

Sappiamo per certo che egli fu poi brevemente a Roma e a Tivoli (“a casa di Adriano” il 10 marzo 1501) e probabilmente a Napoli, ma il 4 aprile 1501 era di nuovo a Firenze, impegnato a dipingere un “quadrettino” raffigurante una “Madonna dei Fusi” per Florimond Robertet, segretario del re di Francia.

Nel maggio 1502 stimò alcuni vasi appartenuti alla collezione di Lorenzo il Magnifico e che Isabella d’ Este intendeva acquistare.

Gli eventi politici e militari che sconvolsero la penisola italica all’ inizio del XVI° secolo, fanno si che Leonardo passasse al servizio del duca Cesare Borgia, detto il Valentino, che il 18 agosto 1502 gli rilascia una lettera patente (ora a Vaprio d’ Adda, Archivio Melzi) con la quale Leonardo può recarsi in ogni dominio del duca. E’ appunto come “ingegnere generale” del Valentino che Leonardo fu a Urbino il 30 luglio 1502 (disegna in seguito anche la Cappella del Perdono all’interno del Palazzo Ducale), il primo agosto a Pesaro, a Rimini l’ 8 (dove frequenta la Biblioteca), a metà agosto a Cesena, il 6 settembre a Cesenatico (visita il porto-canale) e poi a Piombino (dove ritornerà nel 1505, grazie all’intermediazione del Macchiavelli, al servizio di Jacopo IV Appiani).

Per conto della Repubblica di Firenze, prima del 21 giugno 1503, effettuò un sopralluogo delle fortificazioni della Verruca, e approntò un progetto per la deviazione dell’Arno al fine di isolare Pisa dal mare (documentato da mappe e disegni nel Codice di Madrid).

Ma l’evento più importante connesso col ritorno di Leonardo a Firenze, nel 1503, fu l’incarico di  dipingere, nel Palazzo Vecchio e in concorrenza con Michelangelo, la “ Battaglia di Anghiari”, un episodio della guerra di Firenze contro Pisa.

Le spese per approntare la preparazione del cartone risalgono al 28 febbraio 1504.

L’ episodio, dipinto su uno dei due muri “lunghi” della Sala Grande (poi Salone dei Cinquecento) probabilmente con la stessa tecnica usata per il Cenacolo a Milano, venne protetto con armature di legno il 26 febbraio del 1514 per preservarlo ed era ancora visibile il 17 agosto 1549. Dovette essere ricoperto o nascosto dal Vasari nel 1563 quando, avuto l’incarico del rifacimento della sala, eseguì i suoi affreschi ancor oggi presenti.

Nell’ inverno del 1504 Leonardo finì la sua azione diplomatica-militare a Piombino per conto della Repubblica di Firenze, e il 9 luglio 1504 morì suo padre, ser Pietro da Vinci.

Il 12 luglio dell’anno successivo cominciò un libro “de trasformazione” su come trasformare i corpi senza alterare il volume (Codice Foster I, Londra); le date 14 marzo e 14 aprile 1505 (o 1506) si leggono invece nel Codice sul Volo degli Uccelli (Torino, Biblioteca Reale). (fig.4)

Nell’aprile del 1506 Leonardo si recò a Milano inizialmente solo per chiudere l’annosa odissea della “Vergine delle Rocce”. Finì invece col rimanerci (salvo un breve viaggio a Firenze per assistere il Rustici nella progettazione delle porte bronzee del Battistero) fino al settembre del 1513. In questo periodo lavorò come “ paintre et ingènieur ordinaire” del re di Francia, Luigi XII°, dedicandosi allo studio dei problemi urbanistici di Milano, a problemi idrografici e geologici e continuando gli studi di anatomia. Nel 1512 gli Sforza ripresero Milano e Leonardo si trasferisce a Vaprio d’Adda, non lontano da Milano, ospite dell’ allievo Francesco Melzi.

Partì da Milano per Roma il 24 settembre 1513 con i suoi allievi prediletti: Francesco Melzi, Salaì, un certo Lorenzo e il Fanfoja (forse identificabile con Agostino Busti detto il Bambaja).

Nel 1514 Leonardo lavora nello studio creato per lui al Belvedere Vaticano da Giuliano dè Medici, duca di Parma Piacenza e Modena, sestogenito di Lorenzo il Magnifico e fratello di Giovanni (salito in quegli anni al trono pontificio col nome di Leone X°); a Giuliano il Macchiavelli dedicò la sua opera “Il Principe”. In quegli anni Atalante Migliorotti era il sovraintendente delle Opere Vaticane. (fig.5)

In questa situazione Leonardo si dedicò prevalentemente a studi scientifici e al progetto del prosciugamento delle paludi Pontine.

Il giorno 8 ottobre 1514 venne eletto “novizio” nell’ Arciconfraternita di San Giovanni dei Fiorentini a Roma e nel dicembre dell’ anno successivo accompagnò a Bologna Giuliano dè Medici e Papa Leone X° per incontrare il nuovo re di Francia: Francesco I°.

Per i Medici elaborò progetti per il nuovo Palazzo Medici a Firenze ma, morto Giuliano dè Medici, Leonardo accettò l’invito di Francesco I° di recarsi in Francia. Nell’agosto 1516 risulta ancora a Roma ma nel maggio 1517 è nel castello di Cloux ad Amboise, dove ricopre la carica di “premiere peinctre et ingenièur et architecte du Roy”. In quegli anni dipinge la “Gioconda”, un “San Giovanni Battista giovane” e ”la Madonna e sant’Anna”, progetta per il re un canale di irrigazione e un nuovo palazzo a Romorantin, fa studi di idraulica e meccanica e prosegue con gli studi di anatomia.

Il 2 maggio 1519, all’ età di 67 anni, moriva nel castello di Cloux dove venne sepolto.

Lasciò in eredità (con un testamento redatto il 23 aprile 1519) tutti i suoi manoscritti, i disegni e tutti gli strumenti inerenti alle sue professioni all’ allievo Francesco Melzi, mentre tutti i dipinti che si trovavano nel suo studio (fra cui la “Gioconda”, la “Leda”, il “San Gerolamo” ecc) pervennero a  Gian Giacomo Caprotti detto Salaì che li riportò tutti a Milano, dato che essi compaiono nell’inventario dei bene redatto dopo la sua morte avvenuta a Milano nel 1524. Con la morte di Salaì inizia la dispersione dell’ eredità di Leonardo.

 

 

II - LEONARDO E IL TEATRO: L’INFERNO DELL’ORFEO

Leonardo, come era d’ uso ai tempi, curò l’ allestimento di Feste e Spettacoli per le Corti in cui si trovò a lavorare. Ci restano alcuni schizzi fatti da Leonardo per la messinscena di una storia mitologica, la “Favola di Orfeo” del Poliziano, ideata per il governatore francese di Milano, Charles d’Amboise, subito dopo aver lasciato Firenze, nel 1506. La ‘fabula’ di Orfeo, che in un secondo tempo sarebbe stata intitolata “Orphei tragoedia”, fu scritta dal Poliziano a Mantova in due giorni, in stilo vulgare, all'inizio del 1480.

La parte di Orfeo era stata affidata al poeta Baccio Ugolini, allora ancora giovinetto, e sembra che un' altra rappresentazione fosse stata programmata per il palazzo di Marmirolo nel 1490, quando un messo dei Gonzaga veniva incaricato di ricercare a Firenze un attore per la parte di Orfeo, cioè quello stesso Atalante Migliorotti che nel 1482, all'età di sedici anni, si trasferiva a Milano con l'allora trentenne Leonardo, suo maestro di lira. Del progetto mantovano non sono pervenute ulteriori documentazioni, per cui non è certo che fosse stato realizzato.

Nel Codice Arundel troviamo invece uno schizzo di Leonardo che chiaramente si riferisca all’allestimento fatto, appunto da Leonardo, nei primi anni del 1500. (fig1)

Si tratta di una scena pastorale con colline e ruscelli; nel mezzo si trova una grande e misteriosa montagna centrale su cui spicca una grande porta.

Il disegno sottostante, nella stessa pagina del Codice Arundel, quasi del tutto privo di una descrizione paesaggistica, rappresenta invece una grotta-caverna, che si è aperta nel ventre della montagna. Si tratta di un grande palcoscenico girevole che, ruotando su di un’asse centrale, svela al suo interno “il paradiso di Plutone”, il mondo degli Inferi, dove si trova prigioniera Euridice.

Il passaggio tra la prima e la seconda scena avviene senza un vero e proprio mutamento di scena, il palcoscenico gira lasciando sostanzialmente visibile il paesaggio laterale e lo spettatore segue i protagonisti all’interno della montagna originale. La caverna centrale è  circondata da una specie di portico scavato nella roccia, che è poi un vano per nicchie comunicanti con due aperture frontali di accesso e uscita che mettono in contatto il palcoscenico col retropalco.

Sul margine sinistro in basso di un grande foglio per la messinscena dell’ “Orfeo” recentemente ritrovato, già nel Codice Atlantico ed ora in collezione privata in Svizzera, si legge la seguente nota autografa di Leonardo: “El contrappeso che cade comincia in niente e finisce in gran potenzia”. (fig.2)

Leonardo vi formulava il secondo principio della dinamica o meglio della “legge fondamentale della dinamica”, anticipando di quasi due secoli Isaac Newton.

Il disegno del foglio vuole pertanto essere un’ esemplificazione delle macchine teatrali  inventate e sperimentate, per esaltare, nell’atto finale della fabula, l’ improvvisa comparsa di Plutone sulla scena: “Quando B s’abbassa, A si alza e Pluton esce in H”, recita infatti l’altra nota in alto a destra. Si trattava di un ingegnoso saliscendi adatto per il trasporto verticale e costituito da una piattaforma con sostegni laterali. Questa è azionata da un meccanismo che le consente di salire e scendere, grazie ad una zavorra, posta all’estremità inferiore, a cui è associata da carrucole e funi di trazione. Essendo priva di un autolivellatore che ne assicurasse la fermata e ne limitasse la velocità, l’ improvvisa apparizione sul palcoscenico di Plutone doveva provocare un fracasso inquietante e far sobbalzare il pubblico, tanto più che la apparizione fulminea veniva accompagnata dallo strepito delle “olle” (Le “olle” erano vasi acustici la cui apertura era chiusa da sottile membrana tenuta tesa come per la pelle di un tamburo e messa in vibrazione da una corda o asta passante per il centro, così per provocare, a sfregamento di mano, un suono prolungato, variamente intenso e stridente.Le olle erano molto simili all’odierno putipù).

Dicono gli appunti di Leonardo:

ABCD è un monte che s’apre così: AB se ne va in CD, e ‘l CD se ne va in EF, e Pluton si scopre in G sua residenzia”.

L’ uso di una macchina scenica che consentisse effetti speciali, senza che vi fossero interruzioni nella rappresentazione, si ha per la prima volta con Leonardo, che aveva già applicato il sistema del saliscendi alle grandi macchine escavatrici, ideate per sollevare e trasportare il materiale di scavo in relazione alla progettata canalizzazione dell’Arno, nel 1503.

In base alle poche e frammentarie indicazioni nelle due pagine di cui sopra si può concludere che Leonardo intendesse avvalersi di una scena unica che poteva cambiare all'improvviso con appropriati effetti di luce e con accorgimenti coreografici di suoni, canti e danze. (fig.3)

Al pubblico convenuto alla rappresentazione, e quindi prima o durante l'esordio, la scena iniziale doveva presentarsi in penombra dietro il telo leggero e trasparente del sipario, e forse con gli attori già predisposti, immobili, e riconoscibili solo dalle loro sagome in controluce.

Qualcosa del genere, si sa, era già stato adottato nella messinscena del Paradiso del Bellincioni.

Un'idea dell'apparato scenico e del sistema del sipario si ricava da un foglio del Codice Atlantico di qual periodo, con uno schizzo della struttura dei palcoscenico dove è pure accennato il profilo della montagna chiusa. La nota spiega: “a B tirante di corda; serve nel lasciare discendere la tenda che occulta la comedia”. Di fronte a quella scena, occultata quanto basta per stimolare la curiosità e l'immaginazione degli spettatori, l' ”annunziatore” sarebbe dunque apparso a spiegare in breve cosa sarebbe accaduto nel corso della rappresentazione. È questi Mercurio, messaggero celeste, che, sostituendosi all'angelo della tradizionale sacra rappresentazione, esordisce chiedendo il silenzio del pubblico, una apparizione di appena un minuto, il tempo di recitare i primi quattordici versi:

 

Silenzio. Udite. El fu già un pastore

figliuol d'Apollo, chiamato Aristeo:

costui amò con sì sfrenato ardore

Euridice che moglie fu di Orfeo,

che seguendola un giorno per amore

fu cagion del suo caso acerbo e reo,

perché fuggendo lei vicina all'acque,

una biscia la punse e morta giacque.

Orfeo cantando all'inferno la tolse,

ma non poté servar la legge data,

che ‘1 poverel tra via dietro si volse;

sì che di nuovo ella gli fu rubata;

però mai più amar donna non volse,

e dalle donne gli fu morte data

Infatti questa rinuncia alle donne lo porta a scatenare le ire delle Furie e delle Erinni (pur sempre donne). Sbranato come in preda alle belve, Orfeo, sacrificato a Bacco, soccombe nel turbinio di una forsennata danza macabra. Nella favola allegorica Orfeo perde l'amata consorte due volte: una prima quando, perseguitata da Aristeo, Euridice muore al morso della serpe, e la seconda quando sulla via del ritorno al mondo dei vivi, Orfeo non tiene fede al patto appena stretto col dio degli inferi, Plutone, e si volta a guardare se l'amata consorte lo segue.

 

 

 

 

La seconda parte dell'articolo di Maria Gresele:

"IL PARADISO"

 

 

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M.Gresele (01/06/04)