Di
seguito troverete spunti relativi ad alcuni aspetti della musica
certamente poco frequentati.
Alcuni di questi spunti sono il frutto di una mia collaborazione
con Martin Mystère, che diede origine al libro numero 13
de Il Dizionario dei misteri dal titolo La musica mysteriosa (Bonelli,
1996).
L'ARMONIA
DELLE SFERE
Per comunicare con gli uomini... Non si conosce quasi nulla
sui tempi e sui modi dello sviluppo della musica primitiva: pittura,
scultura e architettura hanno lasciato molte testimonianze (frammenti
di edifici, disegni rupestri e via dicendo) mentre sui primordi
della musica - la quale, per essere tramandata, impone una registrazione
o quanto meno una scrittura (notazione) - non si possono che esprimere
ipotesi, magari fantasiose. Secondo una di esse possiamo ricostruire
alcuni aspetti della musica primitiva ascoltando i suoni emessi
dai neonati: essi, come i primi abitanti della terra, non possedendo
ancora la conoscenza di un linguaggio convenzionale (elaborato dall'uomo)
non possono che comunicare con i suoni perfettamente "naturali",
non organizzati. Senza dubbio più "melodiosa" è
la teoria dei Greci, i quali facevano risalire le origini del canto
all'imitazione di quello degli uccelli, o quella degli antichi popoli
indiani, riportata dai libri sacri Vedanta e Upanishad, i quali
associavano a ogni nota musicale un diverso animale. Secondo un'altra
affascinante teoria, in epoca più evoluta le parole erano
utilizzate per esprimere i concetti pratici, mentre alla musica
era affidato il compito di comunicare i sentimenti ( teoria di cui
persino i filosofi greci erano convinti assertori).
E' possibile che la musica primitiva costituisse una sorta di linguaggio
precedente al linguaggio parlato. Ancora oggi è possibile
ritrovare in alcune tribù particolarmente arretrate sistemi
di comunicazione di natura musicale (come i "tamburi parlanti",
- più famosi con l'improprio termine di Tam-Tam - della foresta
africana). Anche sistemi comunicativi di paesi più sviluppati
conservano tracce di un'antica natura "musicale": nel
cinese parlato, per esempio, il significato di una parola cambia
radicalmente a seconda dell'intonazione della voce; nel cinese ufficiale
("Mandarino") ogni sillaba può avere quattro intonazioni
diverse; nel Cantonese, parlato a Hong Kong, addirittura nove. Per
cercare di rendere l'idea delle intonazioni, in alcuni manuali per
lo studio della lingua a uso degli stranieri, i fonemi sono associati
a una notazione musicale. Senza arrivare alla complessità
del cinese e di altri linguaggi orientali, l'intonazione è
fondamentale per la completa comprensione di tutte le lingue: dalla
modulazione e dall'intonazione della voce è persino possibile
cogliere il senso dei dialoghi in idiomi sconosciuti, grazie agli
inconfondibili "toni di voce" di un litigio, di un urlo
di terrore, di un discorso tra innamorati.
In questo senso la musica è veramente un linguaggio universale,
e non è un caso se nel film Incontri ravvicinati del terzo
tipo il regista Steven Spielberg ha scelto proprio la musica come
linguaggio di comunicazione tra i terrestri e i visitatori alieni
(le note in questione appartengono al Concerto del compositore novecentesco
ungherese Zoltan Kodaly).
...e
con gli Dei. Fin dalle origini, la musica è stata considerata
un linguaggio privilegiato per comunicare con le divinità.
Nelle gerarchie delle antiche società sparse in tutto il
mondo, i sacerdoti-musici, stregoni e sciamani ricoprivano ruoli
di primo piano, in quanto conoscevano i segreti di pratiche musicali
in grado persino di compiere miracolose guarigioni; le facoltà
magico - curative della musica, che sono oggi alla base della moderna
musicoterapia, erano ben note nelle civiltà egizia, assira,
indiana, cinese, greca e romana.
Gli strumenti musicali erano spesso considerati come "bacchette
magiche" che potevano attirare su di sé energie cosmiche.
Ad esempio gli sciamani seppellivano a fianco dei morti alcuni flauti
costruiti con ossa umane, e, durante i riti funebri, suonavano il
tamburo per richiamare gli dei, ai quali chiedevano di concedere
al defunto la vita eterna. Per gli antichi Egizi, il shshsht (sistrum
per i romani), una sorta di sonaglio di maiolica, era fondamentale
nei rituali dedicati a Iside. Emetteva un suono che ricordava il
frusciare del vento tra le canne del papiro, per ricordare come
la dea si fosse riparata con il figlio tra le paludi del delta del
Nilo; divenne in breve simbolo della vita e dell'adorazione, ed
è tuttora utilizzato nei riti della chiesa Copta.
Il tamburello era invece particolarmente efficace per i riti legati
alla fertilità; delle proprietà dell'antica tamboura
- che, a dispetto del suo nome, è uno strumento a corda come
il liuto - parleremo diffusamente per il suo utilizzo in musicoterapia.
Gli ebrei associavano il suono dello shofar, strumento a fiato ricavato
dal corno di un ariete ad alcuni episodi biblici, come il sacrificio
di Isacco, l'apparizione di Dio sul Sinai, il trasferimento dell'Arca
dell'Alleanza. Nel periodo cosiddetto "talmudico" (X-XIII
secolo) lo shofar era utilizzato negli esorcismi; fino al secolo
scorso nelle pratiche magiche; oggi lo strumento è suonato
in occasione del Rosh Hashanah, il capodanno ebraico che da inizio
al periodo di purificazione concluso nel giorno dello Yom Kippur.
Sempre a proposito di strumenti musicali, la Bibbia racconta l'episodio
dell'arpa di David, che liberò re Saul da uno spirito maligno,
e quello delle trombe di Giosuè, che abbatterono le mura
di Gerico (da notare che le trombe ebbero un effetto devastante
sulle mura ma nessuno sugli uomini, come se le frequenze del loro
suono agissero soltanto sulla pietra).
Nella tradizione islamica la scuola degli udisti (suonatori di ud,
strumento simile alla tamboura) associavano ogni corda del loro
strumento a un elemento del cosmo, mentre i greci assegnavano precisi
suoni e melodie ai temperamenti umani e ai moti dell'animo.
L'armonia del mondo. Il termine "musica" è
di origine greca ed è associato alle Muse, mitiche protettrici
delle Arti: da ciò si comprende l'importanza che i Greci
attribuivano al mondo dei suoni (a titolo di cronaca esiste anche
un'etimologia scarsamente accreditata che attribuisce l'origine
del termine musica a Mosè). Molti filosofi greci consideravano
cosmo, numero e musica parti di uno stesso concetto, affermando
che la musica in particolare era manifestazione di quel Principio
divino che dava ordine al mondo. I filosofi rinascimentali avrebbero
poi battezzato questo Principio harmonia mundi.
Attenzione! da qui in poi incontreremo altri termini latini per
definire concetti di origine greca. Presto spiegato: utilizziamo
la terminologia risalente alla filosofia medievale e rinascimentale
europea, che attinse moltissimo al mondo classico, e che svolgendosi
per lo più in ambito ecclesiastico, si esprimeva in latino.
IL
SUONO PRIMORDIALE
Dio Padre si sarebbe servito di suoni per creare l'Universo? Vediamo
quali sono i riferimenti che sembrerebbero avvallare questa ipotesi.
Il Vangelo secondo Giovanni recita: «Nel Principio era il
Logos, e il Logos era presso Dio e il Logos era (un) Dio. Egli era,
nel Principio, presso Dio». Poi: «.. tutto fu fatto
per mezzo di Lui e senza di Lui nulla fu fatto di quanto esiste...»
. Bisogna precisare che Giovanni scrisse questo Vangelo ad Efeso
fra gli anni 80 e 100, in greco, e che il termine Logos si presta
a molte interpretazioni. In questo contesto il termine può
coincidere con il Pensiero di Dio, che, comunicato, si manifesta
nella Creazione. Ora, considerando che Dio ha comunicato il suo
Pensiero non certo con uno dei linguaggi convenzionali (elaborati
dall'uomo), risulta del tutto probabile che si fosse servito del
suono per plasmare: ecco un'altra conferma della teoria secondo
la quale i primi uomini (creati ad immagine e somiglianza di Dio,
ma ancora privi di linguaggi convenzionali) comunicavano attraverso
i suoni. Logos risulta quindi associabile al concetto di comunicazione
sonora (oggi resa verosimile persino dalla scienza dopo la scoperta
dell'eco del Big-Bang, avvenuta negli anni ottanta). Purtroppo questa
teoria è stata completamente spazzata via dall'illuminismo
positivo, perché appartenente all'epoca antica, pregna di
superstizioni, perché inaccettabile dalla ragione, misura
di tutte le cose: era più coerente costruire la teoria delle
origini immaginandosi un Dio che si esprimesse a parole, magari
in tedesco corrente!
Il suono delle parole riveste un ruolo essenziale in tutte le tradizioni
spirituali: ad esempio, secondo la Qabbalah ebraica, pronunciando
correttamente il nome di Dio (Yahveh), ovvero aggiungendo le giuste
vocali e la corretta intonazione alle consonanti YHVH che lo compongono,
l'uomo può divenire tutt'uno con la divinità stessa.
L'idea di suoni primordiali e creatori è diffusa anche in
altre tradizioni. Secondo Diodoro Siculo (90 - 20 a.C.) il dio egiziano
Thoth fu il primo "a osservare l'ordinata sistemazione delle
stelle e l'armonia dei suoni musicali". Il dio costruì
una lira a tre corde e assegnò a ciascuna tre toni: con quello
alto creò l'estate, con il medio la primavera, con quello
basso l'inverno. Prajapati, il dio vedico della creazione, era soltanto
un inno; il suo corpo era composto da tre suoni mistici da cui derivarono
il cielo, il mare e la terra. Secondo la dottrina indù, il
potere creativo del suono era tale che, agli inizi del tempi, Dei
e demoni lottarono per impossessarsene. Ancor oggi il suono-sillaba
Aum o Om, è considerato dal Buddismo e dall'Induismo un Bija-mantra,
o "suono seminale" di particolare valenza sacra, in quanto,
modulato dalla divinità, diede origine alla vita.
Il primo filosofo greco a occuparsi dell'aspetto cosmologico
della musica fu Pitagora il quale, nel V secolo a.C. elaborò
la teoria "dell'armonia delle sfere", già riscontrabile
in alcune dottrine orientali. Pitagora scoprì le caratteristiche
della "Tetrakys" , ovvero della sequenza dei numeri 1,
2, 3, 4. Abbiamo detto in precedenza che esiste uno stretto legame
tra cosmo, numeri e suoni: ebbene Pitagora scoprì che in
una scala musicale i suoni stanno tra di loro in un preciso rapporto
di tipo matematico. Questo rapporto è verificabile anche
empiricamente con un monocordo (strumento per esperimenti di fisica
acustica formato da una corda tesa fissata agli estremi e da un
cursore che può spostarsi sulla corda fissandosi in un suo
punto e riducendone la parte vibrante). Ipotizziamo che questa corda
pizzicata, come quella di una chitarra, emetta la nota do, se spostiamo
il cursore esattamente a metà della corda (1/2) pizzicandola
avremo il do acuto (cioè all'ottava sopra). Così procedendo
troveremo che ogni nota della scala è generata ponendo il
cursore in punti della corda definiti con una proporzione matematica
(2/3 la quinta nota, 3/4 la quarta, ecc). Per Pitagora l'Universo
"canta", e l'uomo è una nota dell'immensa sinfonia
cosmica; colui che pensa in musica può accedere alle più
alte vette di coscienza spirituale. Essendo la musica legata alla
matematica, conoscere le "Leggi dei numeri" significa
giungere all'essenza del Tutto. Poiché la melodia rappresentava
la sostanza originale del tutto, ad alcune di esse venivano attribuite
proprietà magiche e terapeutiche.
Per questa ragione con il canto, Orfeo domava le belve ed i mostri
infernali; suonando la lira, Anfione muoveva le pietre per costruire
le mura di Tebe; intonando lunghe nenie l'Oracolo di Delfi tranquillizzava
le donne invasate, mentre le Sirene utilizzavano la loro voce melodiosa
per far perdere la rotta ai marinai. Esistevano comunque diverse
scale musicali con le quali si poteva comporre un brano, e ciascuna
di esse aveva caratteristiche diverse: Platone - che si occupò
di musica in molti dei suoi "dialoghi" (tra cui la Repubblica,
le Leggi, il Simposio e il Timeo) raccomandava di ascoltare solo
le melodie strutturate secondo le leggi dell'"armonia delle
sfere", in quanto qualsiasi altro tipo di musica creata per
diletto poteva plagiare e rendere schiavi i suoi ascoltatori. Concetto
ripreso a suo tempo da S. Agostino e dai moderni avversori del cosiddetto
"Rock satanico".
Proporzioni platoniche. Nel Timeo, Platone afferma che un
divino artefice (il Demiurgo) plasma la materia seguendo un Principio
già definito harmonia mundi.
"Prima che esistesse il cielo" c'erano tre principi distinti:
l'essere (immutabile, eterno) lo spazio (mutabile, corruttibile)
e la generazione (essenza intermedia con le caratteristiche dell'essere
e dello spazio) definita anima mundi. L'anima mundi era quindi la
mediazione tra lo spirito e la materia (elemento essenziale anche
nella teologia cristiana rappresentato dalla Vergine Maria, generata
prima dei tempi, assunta in cielo e mediatrice nelle intercessioni
presso Dio).
Platone, sulla scorta del pensiero pitagorico, pone questo collegamento
tra spirito e materia su base matematica. Gli elementi costitutivi
della materia (terra, fuoco, acqua e aria) sono divisi in due coppie
(terra-fuoco e acqua-aria), i principi universali sono tre; la proporzione
matematica che collega gli elementi è composta da numeri
ottenuti moltiplicando o elevando al quadrato e al cubo i numeri
"2" e "3".
2³:2²x3
= 2²x3:3²x2 = 3²x2:3³
8:12 = 12:18 = 18:27
0,666 = 0,666 = 0,666
Questa
proporzione esprime dunque il Principio divino dell' harmonia mundi,
e a essa si rifanno le scale musicali greche, formate dal sovrapporsi
di due tetracordi (un suono è in comune). I sette suoni prodotti
schematizzano la struttura "a sette gradi" che unisce
il cielo al mondo sublunare; le scale greche sono infatti discendenti
(dalla nota più alta a quella bassa), perché simboleggiano
la discesa in terra dell'opera del divino artefice, mentre le scale
occidentali moderne, sempre composte da sette suoni, sono ascendenti,
in quanto hanno perso quel valore simbolico.
Nel Timeo si afferma che l'uomo ha un'anima immortale, ed è
stato creato della stessa sostanza dell'anima mundi, ma non è
totalmente puro perché, pur riflettendo l'armonia cosmica,
è a diretto contatto con il caos della materia. Purificarsi
- e cioè ricreare l'equilibrio degli elementi dentro di sé
- è perciò suo preciso compito: per favorire questa
purificazione contemplativa vengono strutturati otto "modi
musicali" (cioè scale melodiche o formule ritmiche)
ciascuno dei quali ha un caratteristico influsso sull'uomo e sui
moti dell'animo. Nella Repubblica Platone afferma che i vari "modi"
hanno fini diversi, perciò alcuni di essi vanno proibiti
in quanto dannosi (quelli lamentosi, conviviali, connessi al piacere
sensuale). Ecco la tabella dei modi associati ai pianeti; i nomi
dei modi saranno mantenuti fino al rinascimento, ma con significato
diverso:
I
Dorio (Sole): scaccia il sonno
II Ipodorio (Luna): induce al sonno
III Frigio (Marte): collerico, irrascibile
IV Ipofrigio (Mercurio): modo degli adulatori
V Lidio (Giove): gioioso
VI Ipolidio (Venere): benefico, femminile
VII Missolidio (Saturno): melanconico
VIII Ipermissolidio (Stelle fisse): bellezza e armonia innate
A
fianco del pensiero pitagorico e delle opere platoniche, dagli antichi
ci sono pervenuti altri studi sull'harmonia mundi. Plinio associava
i suoni alle distanze dei pianeti (palesando incongruenze visto
che non esistevano strumenti per una buona misurazione delle distanze
celesti), mentre Boezio (nel De Institutione Musicae) vedeva nella
musica mundana una connessione tra i suoni e la velocità
dei corpi celesti, cogliendone però il loro rapporto di tipo
simbolico. Sant' Agostino, nella scientia bene modulandi del suo
De Musica, approfondì l'essenza di quest'arte come "disciplina
delle divine proporzioni", interpretando in chiave cristiana
la contrapposizione platonica tra musica come strumento di ascesi
mistica e musica prodotta dal disordine e strumento di perdizione.
Il medioevo fu un periodo di ripresa delle concezioni musicali greche
(come abbiamo visto traducendone persino molti termini), ridisegnate
dalla teologia cristiana; tutto il mondo musicale classico è
stato influenzato da queste concezioni, che rappresentano punti
di riferimento persino per la moderna musicoterapia e la musica
"new age" che vedremo in seguito.
"Stargate" per il trascendente. Poichè dal
cielo giunge - in quanto manifestazione divina - , al cielo la musica
può riportare, come una sorta di via d'accesso per il trascendente
(una sorta di "Stargate", gigantesco anello attraverso
il quale, nell'omonimo film, gli uomini potevano raggiungere una
dimensione ultraterrena). In tutte le tradizioni spirituali, distanti
tra loro per epoca e per collocazione geografica, sono state elaborate,
pur se con mezzi espressivi diversi, musiche che avevano lo scopo
di creare le condizioni ideali per la meditazione e per il rapporto
diretto con Dio. Provate a pensare a qualche film d'avventura, e
vi torneranno alla mente immagini di monaci tibetani intenti nei
loro "mantra", o scatenate sequenze di danze voodoo, riti
musicali Maya e Aztechi o ancora - per rimanere più vicini
a noi - rituali a mezzo tra sacralità e superstizione come
quello dei "tarantolati"; tutte queste scene si concludono
invariabilmente con un "passaggio di stato" da parte dell'officiante,
il quale, in trance, in estasi o comunque in uno stato di ipercoscienza,
entra in comunicazione con un'entità superiore.
Attenzione: abbiamo detto ipercoscienza e non certo di perdita di
coscienza o alienazione: infatti non ha nulla a che vedere con il
cosiddetto "sballo" da discoteca, dovuto magari anche
all'assunzione di droghe o alcolici.
La musica può aprire la via di accesso per il trascendente
quando elimina ogni legame che costringe al mondo terreno, cioè
la cognizione dello spazio e del tempo. Quando un uomo si svincola
completamente da questi due elementi (e ripetiamo, in stato di coscienza)
è pronto per il volo nella dimensione spirituale. Ecco perché
esistono analogie sorprendenti tra i vari repertori di musica sacra,
come, ad esempio, tra canto cristiano e mantra tibetano. Caratterica
comune sono le formule ritmico-melodiche apparentemente banali (in
realtà ricche di valori simbolici su cui in queste pagine
è impossibile dilungarci) che consentono di declamare testi
o parole sacre ripetendoli anche all'infinito (pensate al Krishna
Krishna Hare Hare degli "Hare Krishna", o al Kyrie Eleison,
Christe Eleison della liturgia cristiana). L'effetto della ripetitizione
(e, in taluni casi, dei movimenti che la accompagnano come il volteggio
infinito dei monaci dervisci appartenenti sufismo islamico) è
proprio il superamento della cognizione dello spazio e del tempo
da parte degli esecutori e degli ascoltatori.
SCRIVERE
LA MUSICA
L'esigenza di "scrivere la musica" in modo di poterla
tramandare fu sentita sin dai tempi degli antichi Greci. Assai lunga
è stata la strada che ci ha portato alla moderna notazione
(cioè scrittura con le note) sul pentagramma (sistema di
cinque linee orizzontali sulle quali si dispongono le note determinandone
l'altezza melodica). Quindi non possiamo che riassumere le fasi
salienti del processo evolutivo della notazione. Un primo sistema
fu quello delle lettere dell'alfabeto, ciascuna delle quali stava
ad indicare una nota della scala. Successivamente si sviluppò
la notazione chironomica, cioè quella che faceva uso di simboli
grafici che disegnavano sulla carta la traiettoria che dovevano
compiere le mani del direttore di coro: il cantore seguendo la gesticolazione
poteva intonare le melodie. Troviamo, ad esempio, questa scrittura
applicata ai brani appartenenti al repertorio cristiano così
come a quello tibetano. Ciò conferma l'ipotesi che la musica
sacra tende a superare gli elementi spazio-temporali: la chironomia
non precisa infatti l'altezza dei suoni e la loro durata. Poi si
cominciò a dare sempre maggiore importanza alla determinazione
ritmico-melodica e i seguenti furono i sistemi più riusciti:
per l'altezza dei suoni si cominciò a tracciare una linea
di riferimento che corrispondeva ad una nota. Tutte le note scritte
sotto quella linea andavano intonate più basse (gravi) di
quella nota, e quelle scritte sopra più alte (acute). Ora,
immaginate che con il tempo si siano aggiunte prima una linea, poi
un'altra, poi un'altra ancora, precisando ulteriormente la determinazione
melodica di questo sistema. Per la ritmica si svilupparono dei simboli
chiamati neumi (progenitori delle moderne note tonde, con o senza
gamba), che potevano indicare singole note o gruppi di note, inseriti
sul sistema di linee già descritto. Va precisato che i neumi,
prima di sfociare nella moderna forma tonda, venivano simboleggiati
da rombi.
Per quanto riguarda i moderni nomi delle note, esse risalgono all'epoca
di Guido d'Arezzo (vissuto tra il 992 circa e il 1030 d. C.). Ai
suoi tempi i cantori del coro erano, a suo dire: «..tra tutti
gli uomini, i più sciocchi: questi straordinari cantori e
allievi di cantori cantano tutti i giorni per cent'anni e non riescono
mai a cantare un'antifona, neppure breve, da soli, senza un maestro...».
Per questo Guido dedicò la sua vita anche alla pedagogia
ed elaborò un sistema di apprendimento musicale (poi definito
"solmisazione") che semplificò di molto lo studio
di quegli "straordinari cantori". Per insegnare correttamente
le altezze melodiche della scala Guido utilizzò un famoso
inno a San Giovanni Battista, attribuito a Paolo Diacono, il quale
lo avrebbe composto intorno al 770. Questo inno apparteneva al repertorio
gregoriano ed era ben conosciuto da tutti i cantori ed aveva una
importante caratteristica: ogni verso iniziava su una nota progressivamente
crescente della scala: da quel momento i suoni della scala e le
iniziali dei versi dell'inno furono saldati da un legame che dura
fino ad oggi. Per la cronaca al DO si sostituì l'UT, che
però ancora oggi i francesi conservano, mentre tedeschi e
americani preferiscono ancor oggi l'alfabeto (A=La, B=Si, C=Do,
ecc.).
Ut queant laxis
Resonare fibris
Mira gestorum
Famuli tuorum
Solve polluti
Labii reatum
Sancte Johannes
Un
sistema di notazione musicale particolarmente "mysterioso"
è quello che, a dire di alcuni studiosi (tra cui Marius Schneider,
autore di Pietre che cantano, Guanda, 1980) si trova nei chiostri
di San Cugat, di Gerona e di Santa Maria di Ripoll, edificati in
Spagna nel XII secolo. Gran parte dei capitelli presenti in quegli
edifici sacri riportano immagini di animali; e gli animali, secondo
i Puranas indiani, rappresentano note musicali. Secondo Schneider,
la corporazione di scalpellini che li realizzarono era in contatto
- o, addirittura, faceva parte - di movimenti esoterici indiani;
quelle che sembrano semplici decorazioni sarebbero, in realtà,
precise notazioni musicali, che vanno lette tenendo conto di una
gran quantità di altri elementi (le misure della chiesa,
il numero delle colonne, l'orientamento, eccetera).
Decifrando il complicatissimo codice, sono state ricostruite alcune
melodie che costituirebbero l'"animo" musicale dei chiostri,
e che, forse, accompagnavano particolari riti terapeutici.
Musica
in Chiesa. Sulle pareti delle chiese di epoca rinascimentale
sono raffigurati angeli che suonano: oggi è possibile riprodurre
abbastanza fedelmente alcuni strumenti di questo periodo proprio
grazie a tali rappresentazioni. Lo stesso paradiso dantesco è
una continua enumerazione di canti e inni elevati da santi e creature
angeliche. La musica è dunque gradita alla religione cristiana,
e, esattamente come per le altre religioni, può costituire
il famoso "Stargate", o via d'accesso, per l'intima unione
tra i fedeli e Dio.
Occorre fare subito una distinzione tra musica "rituale"
e "musica religiosa": la seconda non assolve le funzioni
"di passaggio" descritte sopra, ma risulta liturgica solo
per la scelta del testo. La musica religiosa annovera capolavori
assoluti, come i Requiem di Mozart e di Verdi o la Missa Solemnis
di Beethoven, ma i criteri compositivi di questo genere sono volti
a soddisfare più le esigenze estetiche che quelle di preghiera.
La forma di musica sacra occidentale che più si avvicina
alla struttura dell' harmonia mundi è il canto cristiano,
in particolare quello gregoriano. Esso è proprio della liturgia
romana, con testo derivante dalla Sacra Scrittura ed è di
genere monodico (tutti cantano insieme la stessa melodia) a cappella
(senza accompagnamento di strumenti). Caratteristiche del rito cristiano
primitivo sono le letture e la salmodia (canto dei salmi). La lettura
si svolge per mezzo della cantillazione, cioè una sorta di
amplificazione sonora di ogni parola, regolata dal ritmo verbale.
In questo modo si declamano le Epistole e i Vangeli. Il lettore
appartiene all'ordine sacerdotale, perché la cantillazione
è pratica interpretativa esoterica del testo sacro ed è
quindi necessaria una preparazione iniziatica. Al cantore (laico)
era invece affidata la salmodia. Dal 313 (editto di Costantino)
si assiste allo sviluppo di diversi repertori di canti in tutta
l'area cristiana: il canto ambrosiano (ancora oggi eseguito a Milano),
mozarabico (in Spagna, con influenze arabe), celtico (in Inghilterra
ad opera di S. Patrick, ma di esso rimangono solo i testi), gallicano
(in Francia), aquileiese, beneventano ed infine romano che sfocerà
nel gregoriano. Esso prende il nome da papa Gragorio Magno (540-604),
che organizza tutti i canti composti sino a quel momento in un unico
repertorio. Il rito viene diviso infatti in Graduale (contiene i
testi della Messa e dell'Ufficio divino) e in Antifonario (testi
dell'Ufficio delle letture o liturgia delle ore, che scandiva il
trascorrere del tempo della giornata). Inoltre Gregorio impone ufficialmente
il latino come lingua della chiesa. Il gregoriano deve la sua capillare
diffusione anche a Carlo Magno che, per accrescere i buoni rapporti
con la Santa Sede, nel 789 ordina che tutto il clero adotti questo
repertorio (favorendo così anche un maggiore controllo politico-religioso,
eliminando ogni fattore di devianza e ribellione).
La struttura del canto gregoriano è complessa e impone una
preparazione specifica per essere compresa sia sul piano musicale
che su quello esoterico; ognuno dei suoi elementi ha particolari
significati simbolici, liturgici, rituali e fonici atti a favorire
lo stato di ascesi. Abbiamo già detto del superamento dello
spazio-tempo garantito dalla ripetizione di parole e formule melodiche.
Ma la ripetizione di esse per sortire l'effetto deve essere consapevole
e sempre in progredire: si deve cioè sempre ripetere la formula
come se fosse la prima volta, come se fosse nuova, così come
ogni giorno è "nuovo", anche se la sua durata e
la sua scansione ritmica è sempre la stessa. La "novità
nella ripetizione" è un fattore essenziale: quando la
novità viene a mancare, la ripetizione diventa ossessiva,
e in questo caso la musica è al servizio di colui che genera
il disordine, il caos: è così che si è sviluppata
la teoria secondo la quale certi generi musicali particolarmente
alienanti, come la musica da discoteca, sarebbero un'emanazione
di Satana.